domenica 28 ottobre 2012

mi lamento, come sempre, ma magari c'ho anche qualche ragione...

sto tornando a Roma dopo l'ennesimo weekend a Bologna con Martina Diamante.

Sono, come sempre, stanco. Tanto stanco. Dentro e fuori. E' difficile fare il padre "a distanza". Dedicarmi per tutto il fine settimana (adesso sto provando a prenderla il venerdì sera) a lei, solo a lei. Cercando di pareggiare in 48 ore "piene" tutto il vuoto che ho lasciato andandomene dalla casa dove lei vive.

Fare la parte del papà "da weekend". Quello che la fa giocare, divertire e tuttavia cercare di non perdere la parte autorevole dell'essere padre. Combattere ancora la guerra con sua madre, sostenere il mio ruolo di padre e non di baby sitter per due giorni ogni quindici.

Essere autosufficiente, cucinare, fare la spesa, preparare i letti, seguirla e guidarla. Limitarla quando esagera. Darle qualcosa di cui essere contenta senza finire a fare "quello che dice sempre si".

E cercare di non pesare su di lei. Sono suo padre, devo essere io a darle sostegno e forza, ad essere una figura di riferimento per lei. Essere onesto e schietto con lei. Mi sono imposto anni fa di non mentirle mai. Niente menzogne. Il massimo che mi sono concesso è stato non dirle per primo certe cose "scomode" ma a domanda diretta ho giurato a me stesso di risponderle sempre la verità.

E' una brava bambina. E' intelligente. Mi vuole bene e non fa - troppi - capricci. E ha dovuto affrontare una situazione difficilissima, forse ancora peggiore della mia ai miei tempi. Almeno mio padre e mia madre non mi hanno mai usato per colpirsi a vicenda, come ha fatto la mia ex-moglie con me.

Negli ultimi mesi, poi, ho cercato di nasconderle la sofferenza che provavo. Inutilmente. I bambini hanno le antenne sensibilissime. Se anche lei non mi ha detto niente per tanto tempo...ha visto e capito molto più di quanto avrei voluto. Fino a quando mi ha chiesto direttamente: "non chiami più Samantha ogni giorno, vi siete lasciati"?

Così si è capito che l'adulto tra i due non sono io. ;-)

Così mi ha scodellato la fenomenale battuta sulla mancanza ("...ti manca tanto, papà? Lo capisco, quando mi hanno tolto i pan di stelle per la dieta sono stata malissimo anch'io...") :-)

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In tutto ciò, tornando a "casa" la domenica sera io ho sempre avuto bisogno di un abbraccio consolatorio. Ne avevo "diritto"? Era "giusto" che me lo aspettassi? Non lo so e non voglio aprire adesso la discussione. Dico solo che ne ho (ne avrei) un disperato bisogno.
Sono un uomo che ama sua figlia. Sento il peso delle scelte - sbagliate, obbligate, giuste, inevitabili - che ho fatto e che ricadono su di lei e ogni volta che la riporto da sua madre e che lei mi augura "...buon viaggio, papà, alla prossima volta..." mi viene da piangere.
Torno a "casa" stanco, svuotato di energie fisiche e psichiche e vorrei solo qualcuno che mi abbracciasse e mi dicesse "...andrà tutto bene...". 

Invece torno a Roma in una nuova "casa" vuota. Nessuno mi attende, meno che mai per consolarmi delle mie sofferenze, e domani mattina alle 6.15 devo essere all'appuntamento con il mio responsabile d'area che sta cercando il modo per farmi lavorare di più.

Si, sono un rompicoglioni che si lamenta sempre. Ma qualche volta, magari, ho anche qualche ragione. O no?

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